Nella Città del Paradiso
Un'esibizione perfetta
L'uomo aveva gli occhi chiusi: sul bel volto dai lineamenti fini e chiaramente occidentali era dipinta un'espressione sognante mentre le sue dita si muovevano rapidissime e allo stesso tempo fluide come acqua che scorre, accarezzando le corde dello strumento che restituiva una melodia così struggente da coinvolgere emotivamente anche un pubblico abituato a controllare ogni più piccola emozione come quello che assisteva all'esibizione. Un'ultima carezza solleticò le corde dell'alta arpa Kytoshi e nella vasta Sala del sole nascente, una delle meraviglie dell'impero orientale decantata dai bardi di ogni provenienza tutto rimase immobile, l'atmosfera pervasa dalle ultime note il cui magico effetto sonoro andava pian piano spegnendosi. Il suonatore aprì gli occhi e si alzò in piedi: era conscio della qualità eccelsa del suo lavoro e sapeva di non potersi aspettare da quel particolare pubblico le reazioni entusiastiche che era abituato a ricevere in occidente, ciononostante provò ugualmente un leggero irrazionale disappunto nel notare che gli astanti mostravano il loro gradimento con piccoli gesti misurati, ruotando il polso che reggeva i ventagli coloratissimi o chinando appena il capo. Si era preparato a lungo per questa esibizione, e sebbene non fosse lo scopo principale del suo lungo viaggio si era immaginato di riuscire con la sua abilità a superare anche i blocchi comportamentali imposti da una cultura millenaria, così da essere il primo bardo a ricevere un applauso alla esigentissima corte della Città del Paradiso. Ma in fondo non era così importante: rivolse invece lo sguardo in alto, verso il palco davanti a lui che sovrastava di una decina di metri la platea. Al suo interno, nascosto da un sapiente gioco di intarsi di marmo e giada, il nuovo Dio Vivente dell'Impero Orientale, l'eccellentissimo Aki Shen Hurayagi, aveva ascoltato la sua musica e dal suo livello di gradimento sarebbe dipeso l'esito della sua missione. Dopo alcuni interminabili minuti la piccola porta di legno laccato alla base del palco si aprì e ne uscì il Jiju, modo abbreviato per indicare con la formula completa il titolo di Omobito-Machigimi, ossia il Gran Ciambellano, solo uomo sulla terra in grado di udire senza rischiare la vita la voce del Divino e quindi di riferire le sue volontà. Lo raggiunse con i piccoli e brevi passi obbligati permessi dal sontuoso Kimono decorato con innumerevoli piccole scimmie ricamate simbolo del suo ufficio inchinandosi una prima volta a cinque metri da lui e la seconda, un po' più profondamente, una volta giunto al suo cospetto. Il bardo rispose con i tre profondi inchini prescritti dal cerimoniale di corte (quattro erano dovuti allo Shogun comandante in capo dell'esercito e cinque al Dio vivente) e si concesse un'occhiata sfuggente al volto di quello che, secondo molti, era il secondo uomo più potente d'oriente. In quella frazione di secondo notò un paio di occhi a mandorla che sembravano scure voragini in una faccia color gesso alterata dal pesante trucco e sormontata da lunghi capelli corvini acconciati a formare una complicata pagoda sorretta da pettinini laccati multicolore. Il Jiju sollevò impercettibilmente il mignolo smaltato della mano destra e al suo gesto un servitore, a sua volta fasciato nel Kimono tradizionale, avanzò inchinandosi fino a depositare una scatola nera decorata con motivi dorati nelle mani dell'occidentale. L'uomo la aprì con il cuore in gola e esultò interiormente quando vide il contenuto: un antico e preziosissimo Shamisen, lo strumento a tre corde con una cassa rotondeggiante ricoperta di pelle di serpente. La sua esibizione era stata apprezzata e sarebbe potuto restare come gradito ospite nella Città del Paradiso finché avesse voluto. Ma era atteso a Thule dal suo committente prima dell'inizio del grande Torneo di primavera e quindi non aveva molto tempo per trovare quello che stava cercando, senza contare che se fosse stato scoperto nel migliore dei casi sarebbe stato messo a morte. Aveva compiuto il primo passo: ora si sarebbe dovuto muovere con estrema cautela usando tutte le sue innate capacità diplomatiche in un mondo che nonostante le lunghe ore di studio passate nelle biblioteche più fornite delle grandi città occidentali gli rimaneva ancora estraneo e per molti aspetti incomprensibile.
Una ricerca difficile
“Grazie per il tuo servizio, per oggi credo proprio che non avrò più bisogno di te”: l'occidentale congedò la guardia di palazzo in alta uniforme che lo scortava in ogni suo spostamento ed entrò nella stanza che gli era stata assegnata all'interno dal complesso residenziale del Palazzo dell'Astro Luminoso, dirigendosi immediatamente verso la parete più lontano. Aprì la graziosa porta a vetri colorati con motivi floreali che dalla sua camera al quinto piano dell'edificio consentiva l'accesso al piccolo terrazzo e uscì nell'atmosfera fresca della notte. Gettò sul pavimento la giacca ricamata in filo d'argento comprata a caro prezzo dall'artigiano più abile di Thule che aveva indossato appositamente per la cena di gala, l'ennesima a cui aveva partecipato nell'ultimo mese e a torso nudo inspirò profondamente l'aria fragrante e profumata di odori esotici. Lo spettacolo che poteva ammirare aveva senza dubbio del meraviglioso: sotto di lui i giardini rigogliosi di piante sconosciute, con cascatelle e alberi in fiore sembravano il capolavoro di un grande artista e terminavano direttamente su un piccolo strapiombo che dava su una spiaggia formata da chicchi bianchissimi di quarzo. Più oltre il mare interno d'oriente conosciuto dagli occidentali col nome di Paranor, che circondava e rendeva inaccessibile la Città del Paradiso. All'alba, con la luce del sole, in lontananza sarebbero stati visibili anche i cinque picchi candidi della catena montuosa di Yentai ai cui piedi stava l'omonima città portuale da cui era salpato da ormai un mese. Adesso, alla luce di una luna enorme come non aveva mai visto prima, si ritrovò a meditare sulle ultime settimane passate in una sorta di dormiveglia, come se si fosse all'improvviso trovato in una dimensione fuori dal mondo conosciuto. Certo, tutto era nuovo e meraviglioso agli occhi di un viandante assetato di novità e conoscenza come lui: i primi giorni era rimasto affascinato dai banchetti, dai concerti e dai ricevimenti a cui aveva partecipato, aveva assorbito come una spugna tutto quello che aveva visto, ascoltato, toccato odorato e gustato, e se avesse potuto scegliere sarebbe rimasto ancora molti anni ma nonostante le sue capacità di osservazione non aveva ancora fatto progressi significativi nella sua ricerca. Appoggiò i gomiti sulla balaustra di marmo rosa prendendosi la testa fra le mani: più ci rimuginava e più la situazione in cui si era venuto a trovare non gli piaceva per niente. La linea d'azione che prediligeva e che gli aveva consentito di arrivare ad essere uno degli uomini più influenti delle terre dell'ovest non consisteva, contrariamente a quanto si potesse pensare superficialmente, nell'esporsi in prima persona. Certo, quando da ragazzino era partito dal piccolo villaggio di montagna in cui abitavano i suoi genitori seguendo un cantastorie per divenire il suo apprendista, a permettergli di fare strada era stato il suo dono innato e il suo narcisismo. Ma col tempo aveva imparato che la popolarità che stava guadagnandosi fra la gente di tutte le condizioni sociali raccontando le gesta epiche dei suoi eroi e contribuendo a sua volta in prima persona a crearne il mito con la sua opera poteva essere anche una maschera utile a celare altri aspetti della sua vita, da tenere nascosti ai più. Tutti conoscevano il sommo affabulatore e maestro delle note e ricchi, nobili e potenti non vedevano l'ora di aprirgli la porta della loro casa e della loro vita... decantando le loro gesta e denigrando avversari o nemici, magari con la speranza neanche troppo celata di diventare immortali tramite le ballate del grande artista. Così era venuto a conoscenza di virtù, vizi e segreti di grandi uomini che aveva imparato a sfruttare al meglio, e che gli erano serviti a giocare un ruolo determinante nel passato conflitto conosciuto come “La seconda guerra dei Tartax” che aveva ridisegnato gli equilibri di potere dell'intero continente. Tutto questo però rimaneva sconosciuto a tutti, soltanto l'uomo che lo aveva inviato in quest'ultima missione era al corrente della sua vera dimensione e proprio per la sua capacità di segretezza e dissimulazione, a suo dire, l'aveva scelto. Il problema era però il poco tempo a disposizione per raccogliere informazioni e tessere rapporti che lo avrebbe costretto ad agire senza le dovute cautele imposte dal collaudato codice di comportamento che si era costruito. “Se almeno quel pomposo sacco di vento di Ethan Illgurd mi avesse dato un piccolo aiuto” - si ritrovò a pensare - “invece mi sono dovuto sorbire almeno mezz'ora di racconti delle sue gesta guerriere condite da una buona dose di balle, e ho dovuto perfino sorridere e fingere di credere a ogni sua parola”. Aveva incontrato l'ambasciatore tre giorni dopo l'esibizione in pubblico che gli aveva aperto le porte del Palazzo d'Oro, convocato negli appartamenti di rappresentanza assegnati alle grandi città straniere. Nonostante si fosse alzato dal suo scranno aggirando l'imponente scrivania di marmo intarsiata con pietre semipreziose per abbracciarlo stringendogli i polsi alla maniera dei gladiatori occidentali e gli avesse offerto il miglior bianco di Noor, il diplomatico non gli era stato di nessun aiuto. Attempato e sovrappeso, il suo interlocutore gli era parso l'ombra di se stesso, e di certo maggiormente interessato ai propri piaceri personali che a correre inutili rischi in nome del suo paese d'origine e della sua passata fama. Non appena la conversazione era scivolata sull'argomento della sua ricerca era stato bruscamente congedato con una fretta al limite della decenza e della buona educazione, senza nessun appiglio con cui procedere nell'indagine. Eppure il suo committente gli aveva garantito che Ethan sarebbe stato un punto fermo su cui poter contare... Scosse la testa riscuotendosi dai suoi pensieri e si rese conto all'improvviso di essere molto stanco: nonostante tutte le sue preoccupazioni si sentiva in pace, merito forse del panorama ameno che poteva ammirare, e del profumo soave che emanavano i fiori notturni del rampicante sotto il suo balcone. Rientrò in camera e si buttò sul letto: nonostante avesse gli occhi chiusi le luci delle barche dei pescatori ancora danzavano davanti a lui e con questa immagine scivolò nel sonno.
Una festa indimenticabile
Dirk passeggiava sulla spiaggia a piedi nudi con le braccia dietro la schiena respirando a pieni polmoni l'aria fresca del mattino. Durante la colazione servitagli sul piccolo balcone della sua camera aveva notato alcuni movimenti di barche nel lago e si era subito vestito per scendere a vedere cosa stesse succedendo. Ora stava osservando le chiatte decorate con festoni colorati e munite di lanterne di carta di riso che venivano ancorate dagli inservienti imperiali secondo una disposizione ben precisa che, come aveva appreso dalla guardia che lo seguiva in ogni attimo della giornata, era stata codificata secoli prima da un venerato dignitario di corte dal nome Mochimune Shibata, responsabile di una buona parte delle complicatissime regole che scandivano la vita del Palazzo d'Oro. Stava facendo congetture sullo scopo di quei lavori quando un orientale con la livrea degli attendenti che reggeva nella mano destra un piccolo bastone d'argento a cui era appeso un lembo di stoffa ricamata con lo stemma della casata Illgurd gli si avvicinò inchinandosi a tre passi da lui, sopravanzando le due guardie in armatura ornamentale che lo accompagnavano. “Ebbene? - esordì con un ghigno di scherno il bardo dopo alcuni secondi di silenzio - Il nobilissimo Ethan ha smaltito la sbornia di ieri sera e si è reso conto di aver dimenticato di dirmi qualcosa?”. “La risposta è no, eccellente signore! – rispose compito il servitore – Ciononostante il nobile che mi pregio di servire amerebbe averla come suo ospite sulla sua chiatta da parata alla festa sul lago indetta per questa sera un'ora prima del tramonto. E' altresì volontà del mio padrone che indossi questo umile indumento onde avere la possibilità di presentarsi al cospetto degli altri invitati abbigliato nella maniera adeguata, come richiesto dall'etichetta di corte”. Dicendo questo batté le mani e uno dei soldati avanzò fino a depositare ai suoi piedi un panchetto con sopra un piccolo scrigno di mogano dipinto. “Ebbene – rispose Dirk – puoi riferire al tuo padrone che non mi perderei un evento del genere per nessun motivo, e sarà per me un grande onore parteciparvi”. Il servitore giunse i palmi delle mani, chinò la fronte e dopo tre passi all'indietro si voltò, tornando alle scale che conducevano a corte seguito dai suoi due accompagnatori. Il cantastorie si volse verso il giovane orientale che ormai era la sua ombra, ammiccando con fare complice: “Sentito amico? Il dovere mi chiama. E' ora che torni in camera ad occuparmi dei miei strumenti: la mia esibizione dovrà rimanere nei vostri annali”.