Celadarn
“No, non se ne parla. Mia figlia viene via con me, adesso!”. La voce di Celadarn suonò secca e determinata, amplificata dalle volte della stanza nel sotterraneo del Tempio di Pelor illuminata soltanto dalla luce delle torce. Quella stessa luce che ballando sui volti dei cinque sacerdoti di fronte a lei ne rendeva i lineamenti austeri, cupi e ostili. Accondiscendere alla richiesta del suo amico Dardalion era stato un errore: era vero che era stato suo compagno nella grande avventura vissuta e culminata con la discesa nei nove Inferi di Baator, ma adesso era Legato dello Splendente e le responsabilità lo avevano reso una persona diversa. Un conto era far esaminare la bambina alla sua presenza, un altro separarsene e lasciarla al tempio nelle loro mani. “Lasciala qui, donna. Affidala al Tempio. Il mondo sanguinerà a causa di tua figlia, in lei c'è il marchio di suo padre, noi faremo soltanto il necessario”. I sacerdoti avanzarono per strappare la creatura dal suo seno, ma lei fu più rapida e fuggì in un corridoio oscuro, per poi uscire nella piazza del mercato da una porticina nascosta e confondersi nella folla chiassosa. Arrivò a casa senza fiato per la corsa, sbattendo la porta dietro di se e chiudendola con un robusto catenaccio mentre sentiva la piccola agitarsi contro la sua persona. Improvvisamente sentì un dolore lancinante al petto, scostò la coperta e vide sua figlia dilaniarle il torace con artigli affilatissimi, estrarle il cuore ancora pulsante guardandola con degli occhi gialli e obliqui che racchiudevano tutta la malignità del mondo e infine affondarvi le zanne. Celadarn urlò in preda a una disperazione folle, urlò e urlò ancora, poi aprì gli occhi e balzò seduta sul letto dalle lenzuola intrise di sudore: sua figlia piangeva a sua volta nella culla di fianco al letto e la sua piccola bocca non aveva neanche un dentino, figurarsi delle zanne affilate. Era stato soltanto un incubo. Si alzò, si sciacquò la faccia alla bacinella di fianco al letto lavando via le ultime nebbie notturne dagli occhi e si avvicinò alla culla: la piccola smise immediatamente di piangere non appena la prese in braccio. Si sentiva molto più tranquilla, ma non del tutto. Una parte del sogno suonava nella sua testa come un avvertimento: all'alba del giorno precedente aveva davvero portato la bimba al Tempio su richiesta di Dardalion, e quando aveva rifiutato di lasciarla qualche giorno in affidamento ai sacerdoti le era sembrato di cogliere sguardi poco tranquillizzanti in almeno due di loro. Certo, aveva la parola del suo amico, ma che avrebbe fatto se qualcuno avesse saputo della visita segreta e la notizia fosse giunta al consiglio cittadino, o peggio ancora agli altri alti prelati del Tempio? Come avrebbe agito il devoto Dardalion? Pregò di non dover conoscere mai la risposta. Raccolse in fretta le sue cose, nascose la bimba che nel frattempo si era addormentata sotto le vesti e tirò fuori da sotto alcune assi del pavimento una pergamena che aveva conservato per occasioni come quella. Probabilmente alle porte della città non ci sarebbe stata nessuna particolare sorveglianza da parte della Guardia, ma quando si trattava della piccola peste rossa preferiva non correre alcun rischio: a questo pensiero si sovrapposero le prime parole arcane che avrebbero smaterializzato i loro corpi per farli ricomparire in un luogo al di fuori della metropoli che aveva ben impresso nella mente, un luogo sicuro dove avrebbe potuto studiare con calma e a mente fredda le successive mosse...